Vedete pur chiaramente, che il maggior vizio dell’educazione vien dal troppo ostinato accecamento verso gli antichi. Le vesti stesse, anche tra le nazioni che han tutto rimodernato, le vesti e i collari, lo dimostrano. V’ha un aristotelismo secreto, che tuttor domina e non si vede, ed è quello appunto dell’educazione. Son trecent’anni che in Europa si dovettero studiar gli antichi, per ritornare in vita le lettere e l’arti oppresse dalla barbarie. Fu necessario cominciar dai latini, come i più facili (massimamente prima che venisse quella colonia di greci di Levante a ripararsi tra noi dalla scimitarra di Maometto II), il clero e i monaci avendo conservato qualche scintilla di quel fuoco venerabile, e coltivato più o meno la latinità e i romani scrittori. Il maggior letterato era colui, che più sapea di latino, e si sa che si davano le terre e le possessioni per avere un codice, tanto eran pregiati e rari que’ volumi prima della stampa. Di ciò venne un general fanatismo per quella lingua, né mai più si credette di poter essere uomo di lettere senza profondamente ingolfarsi in quella. Successero le medaglie, gli antiquari, le iscrizioni e le lapide, che massimamente in Italia e in Roma, che dirige molto gli studi d’Italia, dierono voga a quello studio. Fu accusato il Bembo per avere scritto in volgare, e bisognò che si giustificasse col mostrar che anche la lingua italiana era lingua di uomini ragionevoli, il che fece col dare il primo un trattato compiuto su ciò, ma più ancora mi par singolare che in Francia sotto Luigi XIV fossero riguardate come scandalose e inconvenienti le iscrizioni francesi poste ai quadri della sua galleria e delle sue imprese: gran prova del tirannico giogo imposto a tutta l’Europa dallo studio degli antichi e della lor lingua.
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