Sicché permettetemi ch’io ricusi l’onore che far mi volete. — E, allora, prendendo un tuono dogmatico, entrò nell’argomento, e mi parlò presso a poco nei sensi seguenti. — Bisogna, — diss’egli per difesa di Dante, e per mia istruzione — bisogna non farsi una regola generale e assoluta per tutti i tempi e i luoghi, i popoli ed i costumi, dell’epica principalmente e della tragica, ma adattarsi nel comporre e nel giudicare i componimenti alle diverse circostanze, nelle quali si trovò il poeta. L’Iliade e l’Eneide non sono in ogni cosa i modelli unici di tutti i poemi, e il vostro Milton starebbe assai male, se il fossero. Convien trasportarsi a Londra per questi, in Atene e in Roma per Omero e per Virgilio, anzi al tempo d’Augusto per l’Eneide, agli eroici tempi per l’Iliade e l’Odissea. Dunque chi vuol giustamente sentenziar Dante si dee trasportare in Toscana e in Italia tra le turbolenze e l’ignoranza di quei giorni. Da tal verità ne scende un’altra, cioè un poema epico sarà diverso dall’altro, salve le regole fondamentali, e potrà nondimeno esser siccome l’altro eccellente, come il sono l’Iliade e l’Odissea d’Omero, benché quella tratti d’un assedio e metta in campo eroi guerrieri, questa di un viaggio e narri gli avvenimenti di eroi viaggiatori. Virgilio unisce l’uno e l’altro, e fa così un poema diverso da entrambi, la Gerusalemme non somiglia punto all’Orlando, né questi due al Paradiso Perduto. Si può dunque fare un poema che non rassomigli agli antichi, eppur sia buono, e può quel di Dante esser buono, salendo ai tempi, ai costumi di Dante.
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