Io avrei potuto strozzare il frate, convincendolo dalle sue stesse parole, che dunque le Lettere di Virgilio erano concludenti, perché provavano appunto questo solo, che Dante non era per tutti, che è libro pei dotti, che è oscuro, antiquato, disusato, e che, in fine, non è da dare ai giovani così alla cieca. Pur mi ritenni per non uscir dai limiti. Ma vedete intanto la malizia o la sciocchezza di questi difensori di Dante, che feriscono l’autor delle Lettere, come se egli attribuisse a colpa di Dante di parlar la lingua del suo tempo, e volesse obbligar Dante a parlar la nostra, criticasse lui e la sua ignoranza e la sua rozzezza; mentre, al contrario, e sì espressamente, lo chiama tante volte uomo di sommo ingegno, di grand’anima, di sapere vastissimo, e attribuisce i difetti a colpa del suo tempo, al secolo d’oscurità, ecc., e in fin, per massima e scopo generale delle Lettere, mira sempre a censurare la cieca imitazione dei nostri tempi. Sopra l’ordine, poi, del poema, sopra la divisione e sul resto, che non dissero mai? Dispensatemi dal ricordare le belle cose che ho lette e udite da questi due danteschi: voi le potete leggere quasi tutte nel libro, se avete tanta costanza di proseguire leggendo più carte «senza saltarle o dormire»(78). Certo, il suo stile è d’una eleganza particolare, come udii dire, ma non so come questa eleganza pesa e affatica terribilmente, mentre le Lettere di Virgilio si fan divorare. Leggete, leggete, se vi dà l’animo, tutta la mistica interpretazione della lonza, del leone, del lupo(79) che son nell’ingresso del poema e s’intendono tre peccati capitali.
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