Ma certo non le videro i suoi comentatori visionari e peripatetici, che piuttosto lo avvilirono, attribuendo a lui le loro puerili immaginazioni. Appunto, amico, vorrei sapere se é ancora uscita quell’opera, in cui affaticavano i più grandi intelletti d’una intiera accademia, sopra quel problema importante a lei proposto: «Per qual cagione il Petrarca, nella prima parte delle rime, parlando a Laura vivente, usi del voi, e nella seconda parte, a Laura morta, usi del tu». Gran dispute vi trovai e grande aspettazione, essendo il quesito nuovo, e, in tre secoli e più, non avendo alcuno fatta la tanto bella scoperta.
Ma sono stanco, e voi lo sarete più di me. Mi son lasciato portare qua e là più del dovere. Conchiudo come ho cominciato (per dare un’aria di unità a queste ciance) che tutti costoro sono gente senz’anima, e pubblici avvelenatori delle buone lettere, e sopra tutti i precettisti. Le poetiche come l’arti rettoriche sono puerilità e ciarlatanerie, appunto come lo è la scolastica rimpetto alla buona filosofia. Quintiliano e i più illustri suoi pari hanno scritto per lussuria di stile e di dottrina, e non hanno mai creduto sinceramente di poter fare un oratore colla loro meccanica istituzione, se intendevano cosa fosse oratore, che solo dalla natura può esser fatto, come il poeta, e perfezionato dallo studio del cuore umano, dalla imitazione de’ grandi esemplari e da pochissime regole fondamentali, che servono piuttosto a mostrare gli scogli per evitargli, che non la via da corrersi; talché Omero, Dante, Milton e i loro pari, avrebbono forse fuggito qualche fallo se avessero letti i precetti, ma certamente non avrebbono i precetti tutti insieme fatto lor fare un solo dei bei tratti e sublimi de’ lor poemi.
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