Vi scriverò delle lettere sui vari abusi introdotti in Italia da costoro, o per cagion di costoro. Una sulla poesia bernesca, un’altra su i predicatori, un’altra sulla filosofia, sull’educazione, e su altri capi già toccati dal nuovo Virgilio con man tremante e con politica italiana, ma che io svolgerò con mano libera e inglese. Tra le prime, ve ne scriverò una sulla rima, essendomi un dì trovato qui in Londra con un vostro venturiere letterato, che sprezza altamente i versi sciolti, che ho veduti dai più illustri d’Italia e più saggi aversi in pregio, ed ama tanto la rima, che ha stampate gran traduzioni non solo in rima, ma in rime martelliane; egli è ben ardito, a me pare, o ignorante, se vuol far fronte, o se non sa il sentimento del Tasso, del Maffei, del Conti e di tanti altri. Gli ho dato in tanto a vedere, nel discorso del Conti(115) Sulla Poesia italiana, quel poco che ivi si accenna in tal proposito, e aspetto di sapere da lui, che possa rispondersi a tali autorità e ragioni. Poi gli darò a leggere il saggio del conte Algarotti(116), ancor più bello e più calzante. Ma una lettera sopra tutto di mio genio sarà quella che dee trattare dell’istoria delle scienze e dell’arti in Italia(117). E che vi pensate, ch’io solamente sia e sempre un buontempone? Voglio anch’io farla da letterato. La nascita, la perfezione, la decadenza, saranno i tre punti del mio discorso sopra la vostra letteratura. Voi sapete che ho raccolti dei libri e delle memorie curiose su ciò, nei miei viaggi.
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