Ma io vorrei sapere qual giusta estimazione possan pretendere i poeti berneschi, dopo che i dèi della poesia pur han bisogno di qualche indulgenza. Se la poesia grande è così poca cosa, che sarà la bernesca? Qual pregio, vi prego dirmi, qual merito vi trovate voi, massimamente al nostro tempo e tra colte nazioni e ben educate, ed in tanta abbondanza di lettere e di poesie? Intendo facilmente come, a principio, gli uomini affamati di piacere intellettuale e d’ozio letterario, nell’uscire dalla turbolenza delle guerre civili e dalla ignoranza dei tempi tumultuosi, cercando per tutto alimento all’anima e all’ingegno, accogliessero con avidità anche questo meschino ed insipido. Ma noi adulti e sazi, noi circondati da tante dottrine e produzioni de’ gran maestri, noi pasciuti d’ogni maniera con lautezza, come soffrir possiamo uno scrivere in cui non teneri affetti né vive passioni, non immagini dilicate o sublimi, non istruzioni e documenti illustri, non certa neppure armonia sostenuta e lusinghiera, non finalmente splendore, pittura, immaginazione, energia di stile, non si ritrova? A dirvi il vero, mi paiono la plebe de’ poeti, codesti berneschi, al linguaggio, al pensare, all’impudenza, giacché ben sapete come i più accreditati sono i più licenziosi e prendono dalle oscenità la maggior parte delle facezie. Per questo, io penso che sia caduto, in Francia e in Inghilterra, questo genere di poesia, dopo che si è conosciuto il valor vero ed intrinseco di Scarron(120), di Hudibras(121) e dei loro pari, nel modo medesimo che sono aboliti i buffoni, che faceano una volta le delizie d’ogni Corte ed erano in carica e uffizio, proprio dopo che i prìncipi stessi han sentito un piacere più gentile, ed hanno avuto l’onore di vivere tra i lor cortigiani in aria affabile e in modo da poter anch’essi godere l’onesta compagnia, e sono stati ammessi e tollerati a partecipare dei privilegi dei privati, che son la confidenza, la familiarità, la socievolezza e quasi ancor l’amicizia.
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