A questa ciurmaglia appartengono dodici o quindici ragazzi d'ambo i sessi, creature mal nutrite, sucide, pezzenti, riottose, piene di audacia e di malizia. La maggior parte non vanno a scuola nè a bottega, ma birboneggiano il dì e la sera sulla Piazza Castello e nei dintorni. Uno di costoro, che ha appena nove anni, è il più tristo monello che si possa immaginare. Con una cassetta di zolfanelli sospesa al collo egli gira i caffè e le osterie, vendendo la sua mercanzia e domandando l'elemosina a chi gli pare di benevolo aspetto. Se l'occasione si presenta, egli trae leggermente un fazzoletto dalla tasca altrui. Non di rado si ferma con altri piccoli furfanti a trafficare il soldo al giuoco, e quasi sempre li spoglia dopo averli ingannati e battuti per giunta. Egli non rientra mai prima della mezzanotte, e guai a lui se non presenta a suo padre molti avanzi di sigari raccolti qua e là da terra, o domandati ai fumatori stando alla porta dei teatri.
Le bestemmie e le imprecazioni che si odono, le baruffe e gli scandali che succedono nel cortile e sopra le loggie di questa casa, le scene di violenza, di vizio e di miseria che hanno luogo nelle camere, i ceffi paurosi che s'incontrano negli anditi ammuffiti e lungo le scale anguste, le figure abbrutolite dall'inedia o dall'abuso dei liquori che vanno e vengono per questa porta metterebbero i brividi e la confusione fra gli ottimisti che magnificano la civiltà e le dolcezze dell'attuale progresso. No, signori ottimisti e panegiristi del benessere e della moralità del popolo, voi dipingete le cose come se fossimo tornati al secol d'oro, ai tempi beati dell'innocenza e della felicità universale.
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Piazza Castello
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