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      I più discreti si contentavano, incontrandola, di farle un vezzo villano, e di dirle certe parolaccie che la facevano arrossire come una bragia. Povera colomba, fra quali corvi era caduta!
      Il più astuto e maligno di questi corvi era Tribolo, il quale per circuire ed insidiare una preda nessuno lo superava. Non è già che egli fosse invaghito di Cecilia, e che operasse per soddisfare una sua voglia amorosa. Tribolo non aveva nessuna inclinazione per le donne, e fossero pur belle come Venere, non gli destavano il più piccolo desiderio. La sua grande ed unica passione, quella che gli teneva luogo di tutte, era l'amore del danaro. Egli dunque insidiava Cecilia per commissione altrui; era il bracco del cacciatore. Un ricco bottegajo dei dintorni aveva veduto la fanciulla, e concepito un'ardente brama di possederla a suo modo. Costui apparteneva alla specie di quegli attempati libertini, che la morte soltanto può guarirli della lussuria. Uomo dai quarantacinque ai cinquant'anni, grosso e tarchiato, colla faccia salsedinosa e bernoccoluta, goffo di parole e di maniere, non aveva altro mezzo di vincere una donna fuorchè quello delle monete. Laonde tutte le sue conquiste erano fatte nella classe delle giovani bisognose, e per mezzo ancora di torcimani, che parlassero in suo favore, e le disponessero alla caduta. Questi preliminari erano indispensabili, altrimenti volendo mettere innanzi la sua figura e trattare da sè la propria causa, non sarebbe riuscito a nulla. Eppure questo fauno ributtante non si contentava di roba mediocre, ma voleva avere fior di bellezze e di gioventù. Tribolo, che lo aveva servito in altre occasioni, si preparava adesso a servirlo di nuovo, e con zelo maggiore, a motivo che la ricompensa promessa era larga più del consueto.


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Tre racconti sentimentali
di Paolo Bettoni
Borroni e Scotti Milano
1855 pagine 106

   





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