Una sorella di lei era per me la regina della festa, e aveva la preferenza nelle mie attenzioni e ne' miei omaggi di galanteria. Io le custodiva il posto da sedersi, e con premura la serviva di birra, il solo genere di rinfreschi circolanti nella sala da ballo. In fede mia quella ragazza mi avrebbe fatto fare pazzie, quando avessi continuato a vederla per molti giorni. Era fiera ed imponente come Diana, della quale aveva un poco i gusti e le abitudini silvestri. Tuttavia non mancava di mansuetudine, e rideva graziosamente mostrando un tesoro di denti bianchissimi, e facendo due pozzette che nulla di più vezzoso. Aveva nome Bettina, e ballava la forlana che era un incanto. Il mio compagno non si divertì meno di me, e inoltre come pittore e mezzo poeta ebbe delle idee e delle inspirazioni che a me non vennero. Quella rustica camera illuminata da quattro candele di sego, quel fermento dei giovani ballerini, quella lieta tranquillità dei vecchi spettatori, quelle voci di allegria miste ai suoni di quell'orchestra singolare, gli facevano l'effetto di un quadro animato di Van-Dick o di Rembrand. Io ebbi invece dei momenti di raccoglimento per fantasticare intorno ad un vecchio vestito di abiti signorili, ma logori e macchiati fino all'indecenza, che tutti chiamavano il signor conte, che mostrava infatti una fisionomia e modi distinti, che aveva ballato due volte con molta degnazione e allegramente come un giovinetto. Per mancanza di agio, di motivi sufficienti, e di persone di confidenza per farmi fare la sua biografia, rimasi per allora colla mia curiosità in corpo.
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Diana Bettina Van-Dick Rembrand
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