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      Il divertimento durò fin oltre la mezzanotte, e quindi ognuno se ne andò a casa sua. Una camera qualunque, dove si è fatta una festa da ballo, appena rimane deserta, fa male all'immaginazione, ed inspira tristi e filosofici pensieri. Io stetti un poco sulla soglia in atteggiamento di meditazione a guardare quella camera vuota e silenziosa, che un momento prima echeggiava di suoni, ed era il campo di tanta gioja rumorosa. Fu allora che principiai ad accorgermi della fugacità e insufficienza dei piaceri umani, e mi sentii alquanto sconfortato. Ah, non è a ventidue anni che si fanno di queste gravi e barbute riflessioni. In gioventù quando un piacere fugge, ne intravediamo un altro nel domani, e ci consoliamo. La vera cagione del mio sconforto era Bettina, che non avrei più veduta, e che mi andava girando nella fantasia. Il mio compagno intanto mi chiamò dall'alto della scala di legno che conduceva al nostro dormitorio, il quale era una specie di granajo dove in mezzo ai fagiuoli, alle fave e alle patate sorgeva il nostro letto di Procuste. Il diavolo non è brutto come si dipinge. Una volta entrati fra le lenzuola, spento che fu il lume, e voltati che ci fummo cinque o sei volte sui fianchi, discese sopra di noi il sonno benigno, e quando si dorme ogni letto è buono. La mattina per tempo noi uscivamo dal villaggio, allorchè un ostacolo per parte mia venne a ritardare alquanto il proseguimento del nostro cammino. Io aveva le scarpe molto rotte. Questa disgrazia mi era nota da due giorni, ma il male era allora nel primo stadio, e si poteva sopportarlo.


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Tre racconti sentimentali
di Paolo Bettoni
Borroni e Scotti Milano
1855 pagine 106

   





Bettina Procuste