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      Dopo questo bel tratto egli entrò nelle sue stanze, ed io rimasi senza potermi alzare, finchè vennero i miei compagni di servizio ad ajutarmi. Il fatto sta che aveva una gamba rotta, e per coronar l'opera il chirurgo ignorante me l'aggiustò in modo che riuscì quattro dita più corta dell'altra. È ben vero che il contino si mostrò dolente della sua brutalità, e che volle riparare il danno con una borsa di danaro, ma io ricusai la sua offerta, e abbandonai il suo servizio, maledicendo il giorno che mi persuasi ad indossare una livrea. Collocarmi in un'altra casa per seguitare la stessa vita, era cosa che io non voleva fare. D'altronde, chi avrebbe voluto prendere un servitore zoppo, quando pure fosse stato dieci volte più galantuomo di un altro colle gambe dritte come fusi? I servitori delle gran case debbono essere svelti, appariscenti, e senza alcun difetto visibile.
      Sicuramente. Se hanno poi delle magagne nascoste, se sono furbi, immorali e maldicenti dei padroni non importa. Basta che facciano bella mostra delle loro persone, e che lusinghino per tal modo la vanità di chi li paga.
      Io presi dunque il partito di tornarmene qui nel mio villaggio, e di occuparmi in qualche altro mestiere. Alla caccia non bisognava più pensarci, perchè oltre al buon occhio, ci voleva ancora buona gamba, e poi i begli anni della gioventù erano andati. Laonde io misi nel cappello due pezzetti di carta rotolati, sull'uno dei quali era scritta la parola sarto, e sull'altro la parola calzolajo, e ne tirai uno a sorte.


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Tre racconti sentimentali
di Paolo Bettoni
Borroni e Scotti Milano
1855 pagine 106