FINE.
UN AGNELLO FRA DUE LUPI
I.
La scena è in una grande città d'Italia, non importa quale. Siamo in una sala mobigliata riccamente, ma con poco buon gusto e manco discernimento. L'insieme dei mobili non le dà un carattere proprio e distinto. L'antico ed il moderno vi sono confusi stranamente, e producono un'ingrata disarmonia. Le cose di vecchia forma contrastano con quelle di attuale invenzione. Gli specchi, i sedili, i tavolini, le pendole, i candelabri, i vasi di porcellana e tutto il resto sono una collezione d'oggetti i più disparati e nemici fra loro. Le finestre hanno le cortine di seta, ma di un colore e d'un disegno non appropriati all'uso. Il pavimento è coperto d'un tappeto di lana, tessuto da mano maestra, e rappresentante gruppi di suonatori e di ballerini. Altra inconvenienza di camminare sui visi e sui corpi di gente rispettabile che sta allegra. Egli è vero che si stampano sui fazzoletti di naso i ritratti degli uomini grandi e che questa non è la più bella maniera di celebrarli, ma un controsenso non giustifica l'altro. Forse la stoffa di quel soppedaneo era destinata all'ufficio di tappezzeria. Otto o dieci opere lodevoli di pennello e di bolino, bellamente incorniciate, pendono qua e là dalle pareti, opere tutte di sacro soggetto, come sarebbe un Ecce Homo, il Martirio di Santo Stefano, e la Vergine Assunta. Fra lo spazio di due finestre avvi uno scaffale di legno prezioso e squisitamente lavorato, nel quale sono collocati libri di pietà, di filosofia cristiana, di storia ecclesiastica, di Vite di Santi, ec., ec. in numero di trecento volumi all'incirca.
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