Dotato di molto ingegno e d'indole soave, volonteroso dello studio, sussidiato da buoni maestri, e memore delle raccomandazioni materne, andò crescendo nella gentilezza, nell'istruzione e in tutti i pregi che rendono amabile e degno di stima un giovinetto. I superiori, i condiscepoli e quanti lo conoscevano, gli portavano affetto, e si promettevano di lui le sorti più liete. Egli splendeva d'una rara bellezza, diremmo quasi femminile, se il suono della voce, alcuni tratti caratteristici del volto, e la nascente lanuggine del mento non avessero attestato il contrario. I suoi occhi ammirabili nuotavano in un fluido etereo di dolcezza e insieme di vivacità, ma celavano ancora l'eloquenza e l'ardore che le passioni sogliono far nascere più tardi. Questo essere prezioso, questo tesoro di purità e d'innocenza, toccato il diciasettesimo anno, passò dal collegio alla casa del suo tutore e zio insieme. Costui, secondo le leggi divine ed umane, secondo i dettami del dovere e della coscienza, secondo gl'impulsi della ragione e dell'onestà, e finalmente secondo la voce della natura e dell'amore, avrebbe dovuto penetrarsi del suo importante ministero, e vegliare gelosamente sul sacro deposito a lui affidato. Avrebbe dovuto continuare a compiere l'educazione di Faustino, sviluppare in lui maggiormente i doni dell'intelletto e del cuore, circondarlo di savie persone, allontanarlo dai pericoli di seduzione, e iniziarlo prudentemente alla pratica del mondo e all'esercizio delle acquistate virtù. Che ha egli fatto invece?
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Faustino
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