loro stessi, ed i proprj fratelli volonterosamente assoggettaronsi, per quindi la rovina del paese, il disprezzo e vergogna per loro, e per tutta l'italica nazione in funesta ricompensa riceverne.
Per non aver dunque avuto l'unione, l'independenza e la libertà del loro paese per meta, quei conquistatori dell'antico mondo, quegli scopritori del nuovo, che poi a stranieri lo regalarono, quelle fervide menti cui l'uman genere va debitore d'averlo con le scienze, e le belle arti dirozzato, ed illuminato, quel popolo che può tanto impareggiabili antecedenti a giusto titolo vantare, eccolo tenuto dagli stranieri in niun conto, come inetto e vile, come l'ultimo del mondo! Imperciocchè per nulla nella politica europea bilancia è in oggi calcolato, anzi come mancante della prima virtù cioè quella di saper essere libero, ed indipendente, trovasi disprezzato e deriso. Il paese come cloaca di vizj, come culla d'impostori, codardi, raggiratori è riputato, che esser dicono un paradiso abitato da diavoli; e mal non si appongono, perchè sotto la ferrea rugginosa verga di tristi e paurosi tiranni, come inerti machine, come servi oziosi ed effeminati, privi dell'esercizio di qual sisia di quei diritti che possono agli uomini riuniti competere, trascinano gl'Italiani una ignominiosa, disonorata esistenza dai vili che circondano i tiranni viemmaggiormente amareggiata; imperciocchè, siccome al dir di Polibio, al libro secondo, i re per lor natura, non hanno nè amici, nè inimici, e che il solo interesse loro è la misura della loro affezione, o del loro odio: e che la posizione in che si misero dal 1814 in quà, è senza dubbio alla felicità dei sudditi affatto contraria, ne avviene, che i soli per cui si dimostra in quegli stati, considerazione o stima sono gli amici del re i quali altri non sono, che i malvagi, viziosi o deboli, e geme la parte buona della nazione all'insolenza di questi vituperevoli stromenti della tirannia vilmente sottoposta.
| |
Italiani Polibio
|