Un Pecorara, modello di virtù cittadina, che nello stesso modo abbandonato, combatte solo contro un drappello di nemici che ferisce, e contiene parecchie ore, a cui essendo però alla fine costretto di soggiacere, preferisce alla resa od alla fuga, una gloriosa morte, è la sua testa inviata a Costantinopoli, attesa la pertinacia da lui dimostrata nel combattere ove trovasi qual brillante trofeo, d'indomabile nemico, al serraglio collocata! Un Rittatore che, comandante d'una batteria, da forza maggiore assalito, si lascia tagliar a pezzi sul cannone piuttosto che cederlo, od abbandonarlo? E cento e cento altri che non finiremmo se tutti volessimo enumerarli? Non potranno al certo essere quelli di codardo procedere accagionati, come neppure quei loro colleghi, che pur con onore combatterono, ma che non sappiamo se dobbiam dire per buona o per mala fortuna, loro non toccò la sorte di morire! Non son codardi nò quei migliaia di forti rimasti a trascinare nella miseria, ed amarezze di ogni sorta quella vita che alla patria consagrarono, e che pel suo miglioramento ancor sarebbero ben contenti di sagrificare! Chiaro dunque appare che non mancano gl'Italiani d'animo, spirito e capacità guerriera, ma che solo trovasi questa, per la sozza schiavitù che gli opprime, come paralitica intirizzita. Se quanto abbiamo di sopra esposto per intieramenle convincere un qualche ostinato non bastasse, noi ci varremmo delle parole del ben noto cavaliere Follard, nella sua storia di Polibio, al tomo quinto, pagina 379, alle quali non potrebbesi, senza taccia di scimunito o di mentitore, dei falli obbjettare: dapertutto, dic'egli dove nascono uomini, nascono soldati, e se questi mancano, quando gli altri abbondano, il torto è del governo, perchè nulla è più facile, che formare un eccellente milizia, ed uffiziali per condurla, e ciò in minor tempo che si crede; se ne vuole forse un bel esempio?
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