Il celebre Cola d'Arenzo, l'amico di Petrarca, uomo di merito tanto superiore a quello de' suoi contemporanei, trascinato da una stolta ambizione, mancò della pertinacia necessaria a chi tali opere sublimi intraprende. Abborriva egli, e non poteva tranquillamente sopportare quella differenza, che fra il glorioso governo degli antichi Romani, avi nostri, esiste, e quello attuale dei Papi tanto vituperevole, ed obbrobrioso, per chi pazientemente lo sopporta, l'animo non soffrivagli di vedere, anzi chè l'antica virtù, e grandezza d'animo, il vizio e la viltà moderna in seggio; dall'umiliazione in che vedeva la sua patria giacere, mosso virtuosamente a sdegno, a quella dirizzare in via di libertà e di valore s'accinse; abbenchè persona privata, mancante d'influenza, siccome non era nè un principe, nè un barone, nè un gran signore, tuttavolta con modi stravaganti in vero, ma savj e prudenti, nel suo intento pervenne a riescire. Ma tribuno della nuova Roma, avrebb'egli dovuto la nobiltà gotica del tutto abolire, e l'antico patriziato mettere in piedi, anzicchè qual distinto onore, la sua aggregazione a quel corpo riputare. Ma ben dice il dotto Mably: "La sua ambizione diventò volgare, e per fare il gentiluomo, la qualità di tribuno che lo rendeva alla nobiltà superiore, pregiudicò; disprezzato da quella che lo addottò, e della quale trovavasi l'ultimo, fù dal popolo odiato perchè era dalla sua classe uscito, e così nulli divennero tutti i suoi sforzi per la spirante autorità ravvivare.
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