Se l'esito sarà conforme alla brama, egli eseguirà quanto insegna Tucidide al libro ottavo: "La miglior arte non è quella che dà la vittoria, ma quella che ne fa bene usare. Se il nemico si spaventa e fugge, inseguitelo." Non trascurerà parimenti quanto vien dall'insigne Polibio al libro quarto, riferito: "Non basta l'avere spaventato e sorpreso il nemico: fa d'uopo inseguirlo senza posa e non arrestarsi agli assedj."
Se poi, di quanto abbiam supposto, conversamente accadesse, e che al numero, alla forza delle disposizioni o ad improvvise ed incalcolabili congiunture che non di rado alla guerra si presentano, o nell'amara necessità di cedere si rinvenisse per la sconfitta; il condottiero non dovrebbe per ciò disperare. Fù come abbiamo già detto, il generale no importa quello, che salvò la Spagna: vuo'(428) dire la calma e la costanza dopo i maggiori disastri. Pur ch'abbia il condottiero prima, della zuffa, la savia precauzione usata di dare ai volontarj, a luogo e giorno determinato, la posta ed il sito del ritrovo(429), prima dello sbandamento, ad ognuno chiaramente indicato; tosto chè siano quelli a siffatta operazione ammaestrati, non dovrà le funeste conseguenze di una rotta, come la truppa regolare, temere. Non prostrerà, nemmeno per un'istante, le forze dell'animo, anzi, onde, qual nuovo Anteo, maggior di prima rinascere, dovrà l'azione, l'energia raddoppiare. Non dev'essere la nostra guerra, nè rispetto alle fisiche operazioni, nè all'influenza morale, come la regolare, della quale Federico Secondo favellando, disse a ragione: "Essere una battaglia perduta, d'assai meno funesta pel numero degli uomini, che costa, quanto pel cattivo effetto e lo scoraggiamento, che negli animi produce.
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