Vi troviamo, infatti, l'obbligo pel medico di denunciare ogni malato di tubercolosi; ordinate le precauzioni da usarsi nell'assistere il malato, allo scopo di procurargli aria pura e di renderne innocui gli sputi, in cui principalmente si riponeva il principio contagioso della malattia; prescritte le pratiche di disinfezione da usarsi in caso di morte, sia riguardo alla camera, sia riguardo agli oggetti letterecci, alla biancheria, agli abiti dei defunti.
Il tutto - è bene aggiungerlo - sotto la sanzione di pene severissime. Nell'editto di Ferdinando IV di Napoli, promulgato il 3 settembre 1782, si comminava a coloro che si fossero opposti alle disinfezioni, se ignobili, tre anni di galera o di presidio, se nobili, tre anni di castello e 300 ducati di multa; la stessa pena pecuniaria ai medici che non facessero le denuncie, e 10 anni di relegazione in caso di recidiva; ai compratori di robe infette tre anni di galera, e ai venditori lo sborso del valore triplo degli oggetti venduti, ecc.
Anche la Repubblica Veneta coll'editto 24 dicembre 1772 era larga di tratti di corda, di prigione, di galera ai trasgressori(2).
Non saprei dire quanto vantaggio abbiano recato queste prescrizioni, le quali, del resto, non erano che la ripetizione d'altre prescrizioni più antiche, e neppure saprei dire se fossero diligentemente applicate.
Non durarono però a lungo (in Toscana, il Granduca Pietro Leopoldo le revocava nel 1783), non tanto perchè, essendo troppo vessatorie, non potevano non suscitare lamentele e reazione, quanto perchè le idee della maggioranza dei medici intorno alla natura della tubercolosi subirono una radicale trasformazione alla fine del secolo passato e al principio del nostro.
| |
Ferdinando IV Napoli Repubblica Veneta Toscana Granduca Pietro Leopoldo
|