E che diffatti i bacilli tubercolari spesso esistano nel latte posto in commercio, è stato accertato in parecchi paesi d'Europa, non esclusa l'Italia. Da noi, per esempio, vennero trovati da Alessi e Arata a Roma, dal Fiorentini nella bassa Lombardia, dal Rondelli a Torino, dal Massone a Genova; non vennero, invece, trovati dal De Rossi in buon numero di campioni del latte di Pisa.
A questa frequenza della tubercolosi nelle vacche s'aggiunge l'aggravante, che il latte può essere già inquinato di bacilli quando ancora l'animale offre le apparenze di una florida salute, e nessun veterinario potrebbe dirlo ammalato, nessun proprietario pensare all'esistenza di un pericolo.
Due anni fa, L. H. Petit riferì la storia di una bambina di Ginevra, che morì di tubercolosi intestinale e mesenterica, senza che si potesse determinare donde le fosse pervenuta la malattia; soltanto una ricerca più diligente mise in chiaro, che la tazza di latte fresco, che soleva bere ogni giorno, proveniva da un podere, nel quale, di cinque mucche apparentemente sanissime, quattro furono riconosciute tubercolose.
Brouardel narra che in un convento, essendo morte di tubercolosi nello spazio di due anni cinque educande, che non avevano alcuna disposizione ereditaria od acquisita alla tisi e non erano state esposte ad alcuna forma di contagio, si esaminò accuratamente la vacca che aveva sempre fornito il latte, e la si trovò tubercolosa.
Alla Scuola d'Agricoltura di Grignon, sopra 23 vacche di bella apparenza e credute sanissime, non meno di dodici, prima coll'inoculazione della tubercolina, poi coll'esame cadaverico, si riconobbero tubercolose.
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