Del resto, l'esperienza ha già fatto ragione di questi timori. E per vero, se si considera la possibilità d'infezioni nell'interno dello stabilimento, ai fatti che ho citati più sopra, posso aggiungerne altri due non meno eloquenti. Nel sanatorio del Dott. Turban, a Davos-Platz, in sette anni, sopra 35 o 40 persone di servizio, una sola ammalò di tubercolosi, una ragazza che aveva l'incarico di lavare le sputacchiere; non ammalò nessuna delle infermiere che curavano gli ammalati più gravi e lavavano le loro sputacchiere. All'ospedale inglese di Brompton in 20 anni si sono curati più di 15 mila tisici, e nessuno dei medici, dei sacerdoti, dei direttori o del personale di servizio contrasse la malattia.
Se poi si considera la popolazione che si trova nei dintorni dei sanatorii, è chiaro che essa deve considerarsi ancor meglio protetta verso il contagio che non sia il personale vivente in contatto coi malati, ed io non reputerei necessario di avvalorare il mio asserto con delle prove, se non si sentisse esprimere da molti un'opinione contraria, e se, in non pochi casi, la costruzione di un sanatorio in una determinata località non avesse incontrata forte opposizione nella popolazione, che ne paventava la vicinanza.
Brehmer, calcolando la mortalità per tubercolosi della popolazione del villaggio di Görbersdorf trovò, che mentre era di 0,41 prima dell'impianto del sanatorio, non fu più che di 0,18 negli anni successivi all'impianto. Del pari Nahm a Falkenstein osservò una diminuzione di mortalità dal 4 al 2,5 per mille.
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