D'altra parte i vantaggi della montagna vengono neutralizzati da inconvenienti, che in molte regioni poi potrebbero creare ostacoli gravissimi all'erezione dei sanatorii. Quando la popolazione delle grandi pianure dovesse avere i suoi sanatorii su lontane montagne, ecco che una somma non indifferente e del tutto infruttifera andrebbe spesa nel trasporto del malato, il quale, poi, oltre all'essere esposto alle noie e alle fatiche del lungo viaggio, si troverebbe in paese di costumi e, magari, di lingua diversi dai suoi, e non potrebbe aver visite di parenti, nè conoscere e guidare le faccende di famiglia. Quando poi, finita la cura, ritorna a casa sua, il nuovo e rapido cambiamento di clima potrebbe nuocergli, e favorire una recidiva della malattia. Meglio quindi seguire il principio, che il malato venga curato nello stesso clima in cui, ottenuta la guarigione, dovrà vivere e lavorare.
Senonchè gli avversari non si danno per vinti. È certo che il tubercoloso può guarire anche in pianura; però quando si riceve un ammalato in un sanatorio, lo scopo capitale da raggiungere è di metterlo sollecitamente nelle migliori condizioni per vincere, o, almeno, arrestare il processo morboso. Ora, a tale scopo il clima di montagna risponde assai meglio di quello di pianura; quando poi sia vinta la malattia, non è difficile trovar modo di abituare di nuovo gradatamente il malato al suo clima primitivo. Quanto alle altre obbiezioni, sono di poco conto. Le spese di viaggio saranno sempre poca cosa rispetto al costo della cura, e la lontananza della famiglia, piuttosto che dannosa, è da considerare come giovevole all'esito della cura stessa, sia perchè le visite dei parenti sono spesso causa di alterazioni nella regolarità di vita del malato, e non di rado anche di disobbedienza alle prescrizioni mediche a cagione dei pregiudizii popolari contro l'alimentazione abbondante, la vita all'aria libera, ecc., sia perchè il malato nel sanatorio non deve essere disturbato dalle noie grandi o piccine della vita familiare.
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