Si tiene del pari universalmente per dimostrato che la scienza della guerra sia intimamente legata con la pubblica economia, con la politica, con le scienze fisiche, naturali e morali. Dimodoché il capitano, o ch'egli fortifichi gli spazi, o che li descriva, o che calcoli la forza delle macchine, o che le costruisca e le impieghi, o che raccolga gli uomini, o che gli ordini, li disciplini, gli amministri e li formi alla gloria ed all'abnegazione militare, egli impronta i suoi precetti da tutte cotali scienze. Or sarebbe maraviglia se nel successivo ingrandimento di quelle - del che nessuno disconviene - l'arte della guerra che ne discende rimasta fosse fuori dell'universale progredimento. E lo sarebbe vieppiú allora quando si considerasse che né la meditazione né l'esperienza né una serie infinita di fatti è mancata agli accurati disaminatori delle belliche discipline. E che ciò sia vero lo dimostrano del pari e le tante importantissime ultime guerre e lo immenso numero dei trattati scritti ai dí nostri da dottissimi autori, i quali ebbero il raro dono di poter raccontare quel che videro e di meditare su di quello che raccontavano.
Se tanto studio e tanta pratica si rimasero sterili, converrá disperare della scienza della guerra, converrá forse negare all'umano ingegno in fatto di belliche dottrine non pure quel perfezionamento indefinito che tanti filosofi vagheggiarono, ma ancora quel progresso, il quale, benché lento e circoscritto forse da lontani ed ignoti limiti, è nondimeno continuo, come si scorge agevolmente, portando gli sguardi sulla storia di qualunque scienza, arte o mestiere.
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