§ 24. Qualunque sia l'opinione che l'erudizione e la critica preferiscono circa l'origine della scrittura ed all'invenzione dell'alfabeto, che gli antichi attribuivano ai Fenici e che molti fra i moderni fanno invece rimontare ai primitivi abitatori dell'estremo Oriente, certo è che l'arte del tramandare con materiali segni l'umano pensiero fu tenuta in sommo onore dalla dotta antichità.
Si è nelle più culte città della Grecia che l'industria libraria prese incremento, per mezzo dei bibliopoli, che rizzavano botteghe, divenute ad un tempo depositi di opere e convegni di letterati. Allorchè uno di questi ultimi avea composto un lavoro, ne dava ivi lettura ad uno scelto uditorio; e dal successo che in questo primo saggio ottenevasi, prendeva norma il libraio, per arrischiare o no l'impresa di far trarre dell'opera un certo numero di esemplari. Carissimi erano in Grecia i libri: tre trattati di Pitagora, o forse del suo scolaro Filolao, furono pagati da Platone 100 mine, pari circa a 9,147 lire di nostra moneta; ed Aristotile pagò 3 talenti (16,465 lire) le opere di Speusippo, nipote di Platone.
Meno enorme divenne il valore dei libri in Roma, dacchè ne crebbe l'offerta. Ricorda il poeta Marziale che il primo libro delle sue opere, contenente 720 versi,non vendevasi che 4 denari, cioè 3 lire o 3 lire e 50 cent. Il libro tredicesimo, alquanto più voluminoso, smerciavasi a 4 nummi, o circa 6 lire nostre; ma, aggiunge il citato autore, potrebbe ottenerlosi anche per la metà di questo prezzo da chi sapesse alquanto mercanteggiare.
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