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      Giulio Cesare offerse una volta alla piaggiata plebe seicentoquaranta coppie di gladiatori; e Tito continuò quelle inumane giostre per cento giorni.
      Ecco l'immensa arena, tutta gremita di genti affluite dalle più remote provincie, impazienti di pascere lo sguardo nell'ultimo palpito dell'atterrato lottatore. Da quella ondeggiante e clamorosa massa di popolo escono confusamenteVoci alte e fioche e suon di man con elle.
      Ma ecco aprirsi i cancelli, e a due a due uscirne stupidamente baldanzosi i gladiatori. Quasi per addestrarsi all'opera di sangue cominciano ad armeggiare con ispade lusorie di legno; - ma la plebe, sitibonda di vere ferite e di vere morti, pone fine al fanciullesco trastullo. Su, vere spade, snudatevi; e voi che dovete, morendo, divertire i dominatori del mondo, atteggiate le labbra all'ultimo sorriso! Comincia la pugna, un incalzarsi, un ferire, un parare, un ritrarsi a tempo ed un assalir subitaneo, finchè il men destro o il più sventurato cada ferito: ma che? il caduto alza un dito in atto di chiedere grazia; se la plebe lo giudica valoroso e degno, grida al vincitore di fermarsi e di riserbarle un campione di futuri piaceri. Se cadde vilmente, o se la moltitudine vuol sino alla feccia gustare il feroce spettacolo, miriadi di bocche sclamano: Recipe Ferrum! e l'ultimo colpo tronca al moribondo la vita. Attorno al caldo cadavere accorrono gli epilettici, e bevono avidi il sangue, creduto rimedio alla loro infermità....
      Una società, deturpata da cotali macchie, sebbene illustre per militari e per civili imprese, non merita che la posterità ne pianga la caduta.


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Manuale di antichità romane
di Gerolamo Boccardo
1861 pagine 60

   





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