Che di tanti cavalli ammazzatiArgin fanno, e di spenti nemici,
CANTO SESTO.
LA SCONFITTA.
A Doria, fuor dell'abbattuta, giunseroI gemiti dei suoi vinti dai Corsi.
Confuso, smanïante, ascolta, e lascialiSenza soccorsi.
Gli uomini d'arme, i Stradïotti, gli Ungheri
Caddero, o in fuga andar lunge dal duce.
Egli anela vendetta, e attorno fulminaLo sguardo truce.
Del nome suo l'inveterato orgoglioNon consente ritrarsi a quel superbo.
Corre alla testa dei Tedeschi e Svizzeri
Che tiene in serbo.
E avvalorato dallo scorno, spingesiRapido innanzi, supera ed abbatte
Mura, steccati, fossi, ed ogni ostacoloIn cui s'imbatte.
Sui rustici ripari ecco s'inerpica,
Primo fra tutti quanti, e dato un saltoA piedi giunti, nella terra slanciasi
Col ferro in alto.
La via gremita d'isolani solcano,
Ad un suo cenno, i liguri cannoni,
Che a fuoco vivo, ed in rovina battonoChiuse e magioni.
Ma i mercenari un popol forte incontrano,
Che palmo a palmo il suo terren difende;
E fa di sommo ardire e d'amor patrioProve stupende.
Qui, boscaiuoli ed armentari poveri,
Scesi a pugnar dalle vicine alture,
Un corso stilo, senz'altr'arma, impugnano,
Od una scure;
Fanno impeto negli ordini, tempestanoDisperate punture e gran fendenti,
E di sgozzati sgherri sui cadaveriMuoion contenti(19).
Orsa così, cui data vien la caccia,
Nei salti delle cantabre foreste,
Volgesi al venator che la rintraccia,
Freme e l'investe.
L'antro difende ove la prole aspettala.
Non di fuggir, cerca di sbramar l'ira.
Lorda di strage, sulle falde rotolaDel monte, e spira.
Animosi guerrieri che dal numero
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