Di torla via.
E fatto cenno ai montanari impavidi,
Che sempre più stringean le schiere dome,
Pastori, che per lunga prova amavanlo,
Li chiama a nome.
Alla sua voce quegli amici accorrono,
A seguitarla da gran tempo avvezzi;
I bombardieri assaltano e li scannanoAccanto ai pezzi.
E Doria in fuga, dei cannoni liguri,
Che i vincitori volgono contr'esso,
Vede le palle che recò da Genova,
Balzargli appresso.
CANTO SETTIMO.
IL SOGNO.
Tandis que l'aigle plane et que la courte vueDes rois le suit en vain et le perd dans la nue.
Da mille furie strazïato afferraL'aureo serto dell'elmo, e ne lo svelle.
«O Corsi, grida, popolo ribelle,
«Il vostro è tradimento, e non è guerra!»
Le piante del cammin sfronda col brando.
Passa imprecandoAi fuggiaschi. Con motti acri li punge.
Grave pel soverchiar dell'armatura,
Fuori di senno, e trafelato, giungeDall'afforzato Calvi entro le mura.
Va in malora, tiranno! I tuoi vassalliDi Cirno nostra fer la terra rossa.
Così dei pari a lor biancheggin l'ossaDovunque libertà combatteralli.
Stupratori del dritto con la spada,
In ogni stradaDel conculcato mondo, in ogni canto,
Senza pietà del danno che li coglie,
Senza ottener tributo alcun di pianto,
Lascin disperse le trafitte spoglie.
Nell'arti primeggiar della milizia,
Atterrir l'universo, è vanagloria,
Esecranda se i popoli martoria,
E al ferro soggiacer fa la giustizia.
Chi in più gran copia i benefíci spande,
Quello è il più grande.
Impor catene è triste privilegio.
Lo spezzarle santifica la guerra;
E avvalorar chi soffre è il maggior pregioChe spettar possa ai prenci della terra.
| |
Doria Genova Corsi Calvi Cirno
|