Mostrò che sempre fu maggior del fato;
E proclama nei luoghi più remoti,
Che la Francia agli oppressi è sempre allato.
Con l'impero risorgere dovienoLe nazioni che gemono in balía
D'un'esosa, nefanda tirannia,
E che pensando a noi, mordono il freno.
Ahi! perchè schiave son Venezia, e Roma?
E perchè domaNon è la moscovita, oscena rabbia?...
Aure di Libertà, scortesi accentiStanno qui per sbucar dalle mie labbia,
Che mai non lusingarono i possenti.
Aure di Libertà, sdegnose forse,
Dimentiche che complice non sono,
Anche voi mi lasciate in abbandono,
E ritornate alle montagne corse.
Meglio è tacer, senza la vostra aita;
E se m'invitaL'alito stesso che m'avete porto,
Tralasciato ogni affanno, a seguitarvi,
Aspirerovvi, o care; e vivo, o morto,
Andrò nei vostri spechi a ritrovarvi.
Quando il rovaio dalle vette schiantaGli elci, e i dirupi sottostanti ingombra,
Sull'ale d'Aquilon, verrò qual'ombra,
Che il vate, figlio di Fingallo(28), canta.
Sovra una nube, ai dì della tempesta,
L'eccelsa crestaDelle mie rocce lambirò nel corso;
E in quella sacra regïon sublime,
I spiri, onore del paese corso,
M'incontreranno sull'auguste cime.
Il buon Ceccaldi, eroico mio campione,
Nel ravvisare il figlio di Luciano,
Benigno in volto, mi darà la mano,
E pago mi farà del guiderdone.
O carme, omaggio d'inesausto affetto,
Al suol dilettoRecati con un tenero saluto;
E noto fa quel che di più mi duole:
Il non offrirgli orrevole tributoD'atti, anzichè di frivole parole.
NOTE
(1) Le così dette préceptions. Leggasi Montesquieu, al capitolo II del libro XXXI dell'Esprit des lois.
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