Certo, il suo è uno dei casi, in cui una eletta natura di donna non solo nasconde e copre agli occhi de' contemporanei e dei posteri il fallo commesso da lei, anzi lo cancella - tanto è soave e serena la passione che ve l'ha trascinata - ma copre e nasconde altresí il fallo vero dell'uomo, quantunque questi l'avesse lungamente preparato e meditato, e dato prova in tutta la sua condotta, d'un prosuntuoso e basso amore di sé, anziché d'un amore schietto ed alto di un'altra.
Abelardo, piú dalla vergogna forse che dal pentimento, fu forzato, quando ogni cosa fu finita e saputa, a rinchiudersi nella Badia di S. Dionigi; ma oltre l'amore di una donna squisitamente gentile, egli aveva a difesa sua l'ingegno acuto, brillante, e desta, piú ancora di prima, la curiosità del sapere e la smania dell'intendere. Sicché nella cella segregata, che gli venne assegnata, una folla di discepoli accorse subito a lui appena egli ebbe incominciato da capo a insegnare teologia. Questo doveva accadere nel 1118 o giú di lí; e durare sino al 1121, nel qual anno, parrebbe, venne fuori un suo libro De Trinitate, scritto per combattere errori di altri; dove parve che invece egli cadesse in errori suoi. E di questi Alberico e Lodulfo, reggenti delle scuole di Reims, lo accusarono in un concilio tenuto a Soissons davanti al Cardinal Cunone vescovo di Palestrina e legato in Gallia del Papa; sicché vi fu condannato a bruciare il suo libro e recitare il simbolo di S. Atanasio, e andarsene prigione nella Badia di S. Medardo.
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