Ma il legato stesso lo lasciò poi tornare a San Dionigi, dove Abelardo sperava, come sembra, ma non trovò pace, poiché il pungolo di cercare e, trovato, di dire, non ne lasciava a lui stesso. Una delle opinioni più care a quei monaci, anzi a tutto il regno, era questa: che il lor Dionigi, primo vescovo di Parigi, fosse l'Areopagita; ora ad Abelardo parve che invece s'apponesse il ven. Beda, che quel Dionigi, cioè, non fosse stato già vescovo d'Atene, come si diceva dell'Areopagita, bensì vescovo di Corinto e quindi un altro. E pensare che in realtà non è né l'uno né l'altro, ma un terzo; e che la gloria, che viene al primo dai libri che gli si attribuiscono, non gli appartiene, perché quei libri non sono stati scritti da lui e non si sa bene da chi! Ad ogni modo, quel po' di vero, che pur sosteneva Abelardo, li commosse tanto, che questi ne fu costretto a fuggire, né bastò: non lasciato neanche tranquillo a S. Aigulfo, presso Provins, dove si era ricoverato, s'ebbe, tornato a S. Dionigi, a disdire, e dal nuovo abate Sugero non gli fu data licenza di uscirne se non a patto che non entrasse in un altro, e s'andasse a nascondere in una solitudine, lontano dagli uomini. Ed egli scelse un luogo deserto a Nogent s. S. in Sciampagna, che non ancora apparteneva alla corona di Francia; e vi si costruí un oratorio di giunchi e canne dedicato alla Trinità, il cui studio gli era stato prima causa di tanta guerra. Ma fu subito scoperto; e di nuovo la folla dei discepoli accorreva a sentirlo, lasciando città e castelli; popolavano il deserto e si costruivano capanne, e si cibavano di erbe e di pane, e di zolle si facevano le mense, e di stoppie e strame i letti.
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