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      Il momento in cui Arnaldo c'entrava, o che fosse verso la fine del 1145 o del 1146, è dei più notevoli di questa storia. Già nel 1143 i Romani, sdegnati che Innocenzo II, dopo servitosi di loro come soldati, si fosse dimenticato di loro come cittadini, concludendo senza il loro assenso un trattato con Tivoli, in luogo di raderla al suolo, gli si erano ribellati. Avevan gridato «Senato o Repubblica», nomi vecchi, di cui non s'era mai spenta la memoria, germi non ancor soffocati. Innocenzo II morí nell'anno stesso, senz'aver potuto né forzare né persuadere i Romani a piú miti consigli; e Celestino II e Lucio II stettero si in Roma, ma allato alla cittadinanza romana insorta, sicché quando il secondo, disperato d'ogni altro partito, si risolse d'andare lui stesso ad attaccare il Senato in Campidoglio, fu nella mischia colpito d'un sasso nel capo e ne rimase morto, Eugenio III aveva dovuto, appena eletto, uscire di città, per non essere costretto a confermare col suo beneplacito la restaurazione del Senato, e s'era ricoverato in Viterbo. In una città, dunque, in cui non poteva vivere lui, lasciava andare Arnaldo; una scintilla adatta ad accendere il piú gran foco dove tutto fosse spento, a farlo divampare, se già fosse acceso. E non è la voglia di venire a Roma quella che indusse Arnaldo a simularsi pentito e rimutato? O entrato col proposito di rinunciare, per stanchezza di animo, a proponimenti che gli eran riusciti troppo difficili a effettuarsi e gli avevano cagionata tanta persecuzione ed angoscia, gli si cambiò forse l'animo, quando vide l'opportunità che gli si presentava e dove?


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Arnaldo da Brescia
di Ruggero Bonghi
pagine 61

   





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