Se i Romani non avevano avuto nessuna lusinga da Corrado III, non potevano aspettarsi dal fierissimo successore minore asprezza. È quindi naturale che piegassero l'orecchio all'ardita proposta di nominare essi un imperatore nuovo. Non c'era nulla di contrario a ciò nel concetto laico dell'impero, o d'ineffettuabile, se i nomi bastassero a fare le cose. Coloro, i quali soggettavano, come s'è visto, il Papa all'Imperatore non potevano lasciare a quello nessuna parte nella nomina di questo. Eugenio III parla di cotesto Imperatore come di cosa da ridere: avrebbe governato, dice, i cento senatori che si proponevano altresì di creare ai primi di novembre, i due consoli, e l'intero popolo romano; il che sia, aggiunge paternamente, per la loro morte e rovina. Ma un altro particolare è aggiunto da lui. Arnaldo non avrebbe fatto questo passo coll'aiuto de' nobili e de' maggiorenti; bensì, con quella gente del contado, della quale aveva raccolto e chiamato un duemila nella città e che operavano a modo di congiurati(19). Ma Eugenio non dice tutto il vero. Le condizioni, alle quali egli è lasciato rientrare nella città, provano che Arnaldo non vi aveva perso il favore di quella parte di cittadinanza sulla quale s'era retto sin allora; e ho detto di chi principalmente si componesse. Soltanto, gli era venuto dalla campagna un aiuto di altri militi, concordi nei fini con quelli che primi tenevano dalla sua. E stavano contro gli uni e gli altri quelle famiglie romane strapotenti, che, tollerate da' Papi, solevano spadroneggiare Roma, e si sentivano dalla ricostruzione della città proposta da Arnaldo minacciate nelle loro tirannidi.
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