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      Niente è meglio attestato di questo, che Arnaldo aderisse in tutto ad Abelardo. In che gli aderiva? Bernardo di Chiaravalle lo chiama l'armigero, lo scudiere di quel Golia. Dove grida, che in Francia si conia una nuova fede, delle virtú e dei vizi si ragiona non moralmente, del mistero della Santa Trinità senza semplicità e sobrietà, n'accusa insieme il maestro Pietro ed Arnaldo. Gli dice uniti squama a squama l'un coll'altro, e che neanche uno spiraglio vi fosse tra di essi(25). E d'altronde, che cosa Arnaldo sarebbe andato a fare nel Concilio di Sens? Abelardo, si sapeva, non vi sarebbe stato accusato se non di errori teologici. O di che Arnaldo lo avrebbe difeso, se di questi non s'impacciava punto? E quando Innocenzo condannava gli errori dell'uno, non condannava insieme quelli dell'altro? O quali, se, l'uno ragionava di teologia e l'altro no?(26).
      Certo, v'era una differenza grande d'indole tra il Brettone ed il Bresciano. In quello era tanto egoista e fiacca, quanto in questo passionata e gagliarda. Abelardo aveva tutto l'impeto nell'ingegno; Arnaldo l'aveva nell'ingegno, ma specialmente nel cuore. Il primo gioiva nel pensare; il secondo nel fare. All'uno piaceva il piacere agli altri, l'abbagliarli; all'altro il persuaderli e il guidarli. Bisognerebbe uno studio novo, accurato, apposito degli scritti d'Abelardo per giudicare se e sin dove la libertà che egli usava nel ricercare le ragioni dei dommi, l'usasse anche a scrutinare, nelle origini antiche e nell'efficacia attuale, gli ordini della Chiesa e la relazione loro cogli ordini politici dei tempi.


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Arnaldo da Brescia
di Ruggero Bonghi
pagine 61

   





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