Li levava di seggio tutti; nessuna tiara voleva che coprisse una corona o ne fosse scoperta. Perciò ricusava al Pontefice il diritto di appropriarsi Roma e governarla. Né era in questa guerra senza compagni. Cosí in Roma come nell'altre città d'Italia, la pretensione del Papa e dei vescovi urtava contro le voglie via via piú ferme d'una parte potente in ciascuna città; che s'allargava a mano a mano, e formata da prima soprattutto dei militi e feudatari minori, già s'estendeva tra i borghesi. Da piú tempo questa parte andava asserendo il diritto di reggere il comune essa stessa, e non già lasciarlo alle mani dei maggiori feudatari ecclesiastici o laici; lo volevano ordinare a libero governo, all'ombra lontana dell'impero, quando questo consentisse a non impedirglielo. Queste voglie avevano acquistato un gran rigoglio appunto in quei tempi, che il papato era stato per più anni contrastato tra più contendenti; e l'impero, venuti meno i Sassoni, era caduto nelle mani d'imperatori deboli. Arnaldo andava a' versi di chi aveva queste voglie, e dava per loro una teorica che le legittimava e le accresceva.
Ma non si fermava qui; anzi viene ora la parte meno intesa del suo sistema. Dal fatto, che il Pontefice fosse cosí differente da quello che doveva essere, ne concludeva che non gli si dovesse obbedienza o riverenza. Cotesti membri languenti egli li risecava dalla Chiesa. Ciò vuol dire che a parer suo il sacramento dell'Ordine non conferiva un carattere indelebile, un carattere che lo suggella per sempre, e che nessuna corruttela di vita e d'animo del sacerdote può cancellare.
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