Se Arnaldo fosse stato in ciò diverso dai suoi contemporanei, sarebbe apparso non al di sopra, ma al di sotto di loro.Ciò che preme di osservare e rilevare in Abelardo, non è tale o tal altro punto di dottrina; poiché troppe volte egli disse e almeno in parte disse, e in piú casi si espresse per modo che resta piú facile ammirarne l'ingegno, che raccogliere dalle parole sue conclusioni precise. Il novo in lui era l'indirizzo della mente e della speculazione persino teologica. Anselmo d'Aosta, cui si attribuisce di avere originato quel moto di pensiero che si chiama la Scolastica, aveva detto: Io non cerco d'intendere perché io creda, ma credo perché io intenda (91). La sentenza di Abelardo invece fu questa: Bisogna prima intendere e poi si può credere. Or bene, in questa inversione di termini, in questo dare il primo luogo alla ricerca, perché ne scaturisca la fede, si contiene l'augurio di un avvenire diverso da quello che la Scolastica ebbe, si comprende tutta un'estimazione del valore della ragione umana, diversa da quella che ne fu persin fatta per piú secoli dopo. Di qui nasceva in Abelardo - e dovette essere del pari in Arnaldo, onde gli venne la lode di molta letteratura - l'opinione che nei filosofi e nei poeti antichi bisognasse ricercare il vero, non meno che nei teologi e nei padri; un prenunzio, sto per dire, del Rinascimento che doveva seguire tanto piú tardi. E nacque altresì - come traspare anche da tutte quelle opinioni d'Arnaldo sull'ordinamento della Chiesa, che ho riferite piú addietro - la dottrina, che il vero dell'insegnamento e della vita cristiana e degli ordini ecclesiastici non bisognasse ricercarlo nei commentatori e negli interpreti, nelle decretali e via via ma bensì nell'Evangelio.
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