Immaginare, che quando l'Imperatore avesse accolto la teorica dei Romani sul loro proprio diritto a crearlo e a porgli accanto il Senato, avrebbe sin d'allora potuto formarsi un regno d'Italia, è illudere sé e gli altri; è leggere le storie a rovescio. Impedire al Papa che diventasse infine padrone di Roma in un tempo, in cui ogni vescovo era principe, sarebbe stato impossibile, quanto è impossibile ora che il solo vescovo di Roma debba essere principe, mentre tutto il concetto e il fondamento del potere è mutato. Non confondiamo i tempi; ciascuno ha il diritto suo. I sognatori del passato nel presente non valgono meglio che i sognatori del presente nel passato.
La Corte di Roma s'è addossata una gran colpa con Arnaldo da Brescia; l'ha ucciso. Già quando commise il delitto, uomini ecclesiastici ne la censurarono. Gerhoo(36), un canonico agostiniano bavarese, vissuto dal 1132 al 1169, pure ammettendo che Arnaldo meritasse d'essere dannato nel capo, non avrebbe voluto che la Chiesa vi si fosse insanguinate le mani. Né le bastò; ne arse il cadavere e ne gittò le ceneri nel Tevere, perché, scrive un poeta contemporaneo, non ne avanzassero le ossa all'adorazione di alcuno. Anche due secoli e mezzo più tardi, il corpo di Vicleffo disseppellito, un quaranta anni dopo la sua morte, fu arso e le sue ceneri gittate nella Swift. Che giova? Nel cinquecentesimo anniversario della morte di Vicleffo, Oxford ne celebrerà l'anno prossimo la memoria; in questo anno Brescia celebra la memoria di Arnaldo e gli erige una statua.
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