Uscito dal collegio a diciott'anni luogotenente del Genio, non sostenne lungo tempo la disciplina del silenzio e dell'obbedienza. La vivacità sua naturale e la svegliatezza della sua mente, così adatta e lesta al sarcasmo, unita con la fierezza e la consapevole ambizione dell'animo, gli dovevano rendere durissimo l'obbedire a chi e come s'obbediva a que' tempi, così vicini a noi e che pur paiono così lontani. Di fatto, com'egli era nel trentuno a Genova, a sorvegliare alcuni lavori di fortificazione, fu sentito parlare liberamente: e per punizione spedito di guarnigione al forte di Bard. Si dimise; e parte attese all'agricoltura, parte viaggiò, cercando, oltre Alpi, a quell'ingegno che il Plana gli aveva riconosciuto ed ammirato, un alimento che l'atmosfera serrata e chiusa della sua patria gli negava. Qui, per troppa calma o per moti scomposti e compressi, la vita sociale era ferma, o sobbalzava di tratto in tratto: e quel giovine signore la calma non poteva sopportare, e a' moti non si poteva risolvere a prender parte: giacchè la sua mente, assuefatta al calcolo, computava le forze dei governi che si difendevano e quelle delle sètte che assaltavano, e non trovava che ci fosse, non ch'altro, possibilità che le forze delle sètte soverchiassero quelle dei governi. Oltre che gli doveva parere che, se i governi andavano per una via pessima, le sètte camminavano per una via, se si fosse potuto, peggiore; non tenendo esse maggior conto del passato, di quello che i governi facessero dell'avvenire.
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