Il Cavour, così certo sostenitore di progresso e di libertà, aveva maggior fiducia nell'efficacia naturale delle instituzioni politiche, che non nella violenza, per estirpare alcune congreghe dannose, le quali non isvelte mai sinora che a forza, son sempre ripullulate, perchè la forza stessa adoperata contro di esse ha ridato loro vigore. Quando i Genovesi chiesero l'espulsione dei Gesuiti, il Cavour propose che si chiedesse la Costituzione: giacchè credeva che, "se essi in tempo del dominio assoluto potevano esercitare qualche influenza, possedere qualche impero sull'animo dei governati, se nel regno delle tenebre loro fu dato, mercè i cupi loro raggiri, costituire una specie di potenza nella nazione, rimarrebbero impotenti e disarmati in faccia alla luce". E quando non si riformino, "si estingueranno come si sono estinte le instituzioni che contrastano alla forza irresistibile che spinge i popoli nelle vie dell'avvenire"(12). Quindi, inteso a riformare le cause, anzichè a riparare gli effetti uno per uno, chiedeva che, quando il tempo fosse venuto di modificare lo Statuto, vi si fosse annunciata la libertà de' culti; giacchè "un principio di così gran rilievo non si sarebbe potuto introdurre nella costituzione d'un popolo altamente civile per via indiretta; deve essere proclamato come una delle basi fondamentali del patto sociale".
Con questa tempera di mente, non poteva credere che l'uomo di Stato avesse e potesse avere altri mezzi efficaci a promuovere i fini economici e politici della nazione, se non quelli che fossero in accordo colle instituzioni e coll'effettive forze sociali, e colle disposizioni reali e non supposte degli animi.
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