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      Il Cavour, insomma, sarebbe stato uno di quegli uomini a cui il diritto ideale, verso cui l'umanità s'incammina attraverso la storia, avrebbe illuminata la mente; ma che non avrebbe creduto che si fosse potuto o dovuto riuscire ad attuano sforzando gli effetti, bensì preparando le cause. Uomo di progresso, non sarebbe stato uomo di rivoluzione, se non si vuol chiamare ad arbitrio con questo nome ogni mutazione nella forma della sovranità sociale; giacchè come una mutazione simile diventa di tratto in tratto necessaria, siamo, quando questa necessità è potente e sentita, rivoluzionarî tutti; e il nome perde ogni significato proprio per la troppo larga applicazione.
      Ma il Cavour, così tramezzante tra il partito aristocratico, coi di cui capi era legato di parentela e d'amicizia, e il democratico, sarebbe entrato nella vita pubblica senza la fiducia del primo ed inviso al secondo. Era però risoluto di non cedere le sue idee e il suo avvenire nè agli amici suoi, nè a' suoi avversarî. Entrava nella vita pubblica persuaso, com'egli stesso disse più tardi nel suo discorso sul trattato di commercio da lui concluso colla Francia, che "quando si accetta di prendervi parte in tempi così difficili, bisogna aspettarsi i disinganni più dolorosi. Vi son preparato. Dovessi rinunciare a tutti i miei amici d'infanzia, dovessi vedere i miei conoscenti più intimi trasformarsi in inimici accaniti, non fallirei al dover mio, non abbandonerei mai i principî di libertà a' quali ho votato me medesimo, del cui sviluppo io ho fatto il mio còmpito, e a cui tutta la mia vita io sono stato fedele"(15).


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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