Il Cavour, in codeste elezioni del gennaio 1849, non fu eletto. Il partito democratico e gli elettori del suo collegio di Torino gli preferirono un tal Pansoya(25). E il Cavour contrastō con quel mezzo, che gli rimaneva, del giornale, al furore dei sedicenti democratici, i quali non si mostravan tali che di nome, e pareva che credessero che la democrazia dovesse consistere in una imitazione delle violenze e dei soprusi della Rivoluzione di Francia. Quando il Gioberti, con un concetto capace di salvar la patria, come salvō in parte la sua riputazione di uomo politico, risolse di intervenire in Toscana e Roma, e rifare in quella intervenzione il credito del governo e l'unitā delle forze, il Cavour approvō e difese; e quando quell'illustre filosofo, abbandonato dai suoi compagni, che rifuggirono dal compromettersi in un'impresa contraria alle smanie del partito, si ebbe a dimettere, il Cavour non derise l'idolo caduto, che gli adoratori piaggiarono prima e calpestarono poi nell'intervallo di pochi giorni.
Ritrattosi il Gioberti, il Piemonte si trovava in condizioni, che nč la guerra avrebbe potuto pių fare con forze adeguate ed ordinate, nč la pace, senza gravi turbamenti interiori, accettare; e neanche in quell'incertezza ed aspettativa, che non era guerra nč pace, persistere a lungo senza sciuparsi affatto, e, dissolversi ogni giorno, pių tra il contrasto de' partiti, o fallire per l'enormitā delle spese.
La guerra, dunque, era oramai il minor de' mali; e al ministero Rattazzi non va fatto rimprovero di averla dichiarata, quanto d'aver condotto il paese a termini nei quali era impossibile di sperare che l'avrebbe potuta fare con avvantaggio.
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