Questo stesso fu il pensiero del Cavour; che diceva del pari in un'altra occasione, che quando il vento soffia per un verso, è troppo rischioso di abbandonarglisi in preda, e che se il moto verso la reazione può in sui principî essere lentissimo, diventa poi rapido, e trascina con una forza, alla quale non sono più abili a far testa quegli stessi che si erano messi per quella via con tutt'altro proposito. Tra il Cavour però e l'Azeglio, concordi, come si è poi visto, nel fine, non si divariava che nella maggiore o minore inclinazione di codesto angolo di inclinazione o divergenza. L'uno e l'altro sicuri che il loro passato attestava che non avrebbero patteggiato co' partiti estremi, credevano di poter senza pericolo fare professione sincera di intenzioni liberali, anche quando l'Europa cominciava ad adombrarsene. Per un pezzo camminarono insieme, ma venne un giorno in cui all'Azeglio parve che il Cavour temesse troppo poco di sprigionare i venti e di fare a fidanza con le tempeste, e volesse scordare troppo più del possibile in quell'orrendo concerto del quale a que' tempi l'Europa si compiaceva; e il più prudente si divise dal più audace, e non si riunì da capo con esso se non quando l'opera dell'audacia ebbe bisogno - e sapeva che ne avrebbe avuto bisogno e contava che l'aiuto non le sarebbe mancato - del concorso di tutti gli amici del Piemonte e d'Italia.
In quella prima sessione il Cavour, deputato, si andò staccando sempre più dalla destra pura, opponendosi nel giornale ad ogni riforma sulla legge della stampa; e sostenendo nell'assemblea contro i più guardinghi la legge sull'abolizione del Foro ecclesiastico proposta dal ministero d'Azeglio; giacchè diceva, che se allo Statuto non si fossero fatti portare quei frutti di libertà, de' quali doveva essere il seme, avrebbe perso ogni credito e perso con esso ogni credito la Monarchia.
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