Roma, la quale vedeva per la prima volta ripenetrare in Italia dei concetti e de' propositi i quali essa sperava che coi Francesi avessero rivalicate per sempre le Alpi, e li vedeva rifarsi avanti accompagnati dalla libertà politica, appunto nel tempo che essa cercava di farli disdire dagli eredi di Giuseppe II, Roma combattè fieramente; e il clero, inspirato da essa, principiò una guerra accanita d'intrighi e di calunnie contro il ministro autore di così spaventose innovazioni. Le si diceva: Ma non avete ammessa in tutta Europa tutto quello che ora noi introduciamo in Piemonte? Ammesso, no, rispondeva, risponde e risponderà Roma; tollerato, sì; ma l'ho tollerato per non potere altrimenti, pronta a ricacciarmi da capo avanti, appena lo Stato sia costretto dai suoi pericoli interni a ritrarsi indietro.
E l'Austria, in quel tratto di tempo che è scorso dal 1848 al 1859, si ritraeva appunto indietro, e rinunciava alla miglior parte delle sue leggi; la qual cosa dava delle Speranze grandissime e, son quasi per dire, delle allucinazioni a Roma. L'Austria seguì in quell'intervallo una politica verso Roma affatto contraria a quella che seguiva il Piemonte: questo spingendosi nelle vie dell'avvenire, quella ricalcando le vie del passato. L'Austria e Roma in quel frattempo cercarono di compire la loro alleanza; giacchè, sorelle da gran tempo nel giro della politica, erano sin allora rimaste peggio che due nemiche nel giro delle questioni ecclesiastiche. Con quanta lealtà l'Austria cedesse, s'è visto a' fatti; giacchè il concordato non è poi rimasto una realtà che sulla carta.
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