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      Il conte Cavour non poteva, come aveva fatto prima e ha fatto poi, sviare le punte delle spade altrui, afferrandone l'elsa; non poteva, vo' dire, far egli quello che la gioventù italiana avrebbe pur fatto con Garibaldi senza di lui. E non lo poteva, giacchè egli non avrebbe messo a repentaglio solo poche migliaia di bravi ed ardenti giovani: ma bensì tutto uno Stato nuovo di undici milioni, a cui uno scacco in Sicilia sarebbe stato un certo principio di rovina. D'altra parte, persino le Potenze più amiche e benevole all'Italia protestavano che non avrebbero tollerato che dal governo dell'Alta Italia fossero aggredite Roma e Napoli. Francia, in quel caso, non guarentiva più dall'intervento austriaco, e ogni speranza avvenire, come ogni successo passato, sarebbero potuti andare perduti; giacchè gli undici milioni d'Italiani già raccolti assieme sotto Casa Savoia avrebbero avuto contro di sè gli eserciti d'Austria al settentrione, di Roma e di Napoli al mezzogiorno.
      Non c'era adunque modo d'impedire che dalla parte più fiduciosa dei liberali italiani non si tentasse senz'altro indugio un ulteriore(29) passo verso il compimento dell'unità italiana, con una avventurosa spedizione in Sicilia. Nè era utile che s'impedisse; giacchè, quando fosse riuscita, un desiderio, comune a tutta oramai la gente colta ed influente della penisola, si sarebbe potuto compire, quello di costituire un'Italia unita; se non fosse riuscita, il governo dell'Alta Italia, che non ci si era impegnato esso stesso, sarebbe di certo rimasto infiacchito, ma non avrebbe incorso esso stesso nessuna responsabilità troppo grave.


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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