Se non che da simile risico non c'era scampo di sorta: non restava che di avere bene in mente che il pericolo ci potesse essere e grave; e cercare nel corso degli avvenimenti un momento in cui si sarebbe potuto sviarlo; anzi, di quella stessa minaccia servirsi ad occasione e pretesto di maggiori imprese.
Si vede, che il conte Cavour aveva ben ragione di dire che quella, in cui si trovava egli allora, non era già una delle più difficili congiunture in cui si fosse trovato mai, ma bensì la più difficile. La sola via ad uscirne e profittarne era pur questa, che altri, - giacchè non poteva il governo - profittasse del credito, che la riuscita dell'impresa di Sicilia potesse dare, o s'assumesse la responsabilità della sconfitta: lasciare, insomma, che, non per sua opera, una nuova serie di fatti s'aprisse, e spiare l'occasione opportuna per usufruirla a vantaggio della patria comune e del governo legale.
Giuseppe Garibaldi adunque salpò egli da Genova il 6 maggio: e con soli mille eroici giovani corse in aiuto dei Siciliani. Il conte Cavour non impedì, e alle potenze estere disse che non avrebbe potuto impedire se non a risico di suscitare all'interno una perturbazione gravissima: nè palesemente aiutò, perchè non venisse al governo nessuna esterna difficoltà da una violazione, che sarebbe stata patente, del diritto internazionale riconosciuto. Il conte Cavour salvò ogni apparenza, tentando ad impedire tutti i mezzi che non sarebbero stati valevoli ad altro effetto, che a torre altrui ogni diritto d'affermare, che il governo di Vittorio Emanuele concorresse.
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