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      Gli onesti, ma poco oculati uomini che il Re di Napoli scelse da prima a reggere il governo durante cotesto esperimento costituzionale, non potevano non vedere che non sarebbero mai stati in grado di condurlo a bene senza l'aiuto ed il beneplacito del governo di Vittorio Emanuele. Cosicchè si affrettarono a proporre patti di alleanza e di concordia, e spedirono a questo fine Giovanni Manna a Torino.
      Questi non doveva avere maggior successo in Torino di quello che il conte Salmour, inviato dal conte Cavour pochi mesi prima della spedizione di Garibaldi, avesse avuto a Napoli. E, in effetti, perchè il Manna riuscisse, bisognava appunto che il conte Cavour desse prova di tanta poca previdenza coll'accettare, quanto poca ne aveva mostrata il governo napolitano, alcuni mesi prima, col rifiutare.
      Il conte Cavour non poteva dubitare che, a qualunque patto, una lega col Re di Napoli non sarebbe stata accettabile. Qual vantaggio avrebbe potuto arrecare nel presente, e quale sicurezza nell'avvenire? Nel presente, il governo di Napoli avrebbe avuto bisogno che gli si fosse corso in aiuto per difenderlo da Garibaldi; nell'avvenire, i Borboni di Napoli, ritrovato vigore, ma non messi a parte dei beneficî che l'indipendenza d'Italia guarentiva a Vittorio Emanuele, si sarebbero di nuovo distaccati da questo, e raccostati all'Austria. Il conte Cavour, oltre di ciò, aveva, a rifiutare l'alleanza, la stessa ragione che l'Inghilterra portava alla Francia per non inframmettersi, come n'era richiesta, tra Garibaldi e Francesco II. Inframmettendosi, si diventava garante alle popolazioni napoletane delle promesse del loro Re; e chi osa farsi garante d'una promessa tre volte fatta e tre volte negata?


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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