Ma poniamo che il conte Cavour avesse trovato in questa alleanza il solo vantaggio che gli si faceva presentire - di trovarsi con essa in grado di vincere il partito più estremo e più avverso a lui e alla sua politica in Italia - chi gli assicurava che questo vantaggio, se anche fosse potuto continuare a parer tale dirimpetto all'unità italiana - si sarebbe potuto raccogliere con un alleato che vacillava, e di cui nessuno avrebbe potuto presumere che sarebbe vissuto? Il certo era che, accogliendo l'alleanza, avrebbe alienato da sè i tre quarti dei liberali italiani, nè si sarebbe conciliata nessuna amicizia valevole a compensare tanta perdita d'influenza e tanto scapito di forza morale.
Se non che questo vantaggio stesso non c'era; giacchè il conte Cavour, se non desidera che la spinta del partito rivoluzionario vada troppo in là, e gli vinca la mano, sa d'altra parte quanto in un'impresa così difficile come quella che dobbiamo menare a termine, sia necessario di non sciupare nè dispregiare nessuna delle forze vive della nazione; e di queste non era certo, nè è la minore, quella che l'idea d'Italia suscita spontaneamente e raccoglie ora intorno al nome di Garibaldi nel seno delle popolazioni.
Ma se era evidente che l'alleanza napoletana s'avesse a respingere, non era facile il modo; giacchè era molto caldamente raccomandata dalla Francia, dalla Russia, dalla Prussia, nè all'Inghilterra spiaceva. Il conte Cavour s'aveva a schermire da due scogli; l'uno dei quali lo faceva naufragare per un verso, l'altro per un altro.
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