Navigò tra i due con non minore abilità di quello che facesse prima dello scoppiare dell'ultima guerra con l'Austria. Alle Potenze diceva, che, quanto a sè, non respingeva in principio l'alleanza; agli inviati napoletani rispondeva: Il vostro governo faccia prima prova di poter essere; ed io mi risolverò poi se mi debba e mi possa accompagnare con esso. Ed intanto, prima di venire a nessuna trattativa, domandava che Napoli rinunciasse a riconquistare, in ogni caso, la Sicilia.
Così si consumarono i tre mesi circa che scorsero dalla presa di Palermo al passaggio di Garibaldi sul continente napolitano. Il conte Cavour, che non aveva da prima creduto alla possibilità del successo - come, di certo, non vi si sarebbe potuto credere - cominciò a prestarvi fede dopo la presa di Palermo, nella quale si vide tanta bravura e perizia da una parte, e tanta vigliaccheria ed imperizia dall'altra. A lui, che non credeva sicuro di allearsi col Re di Napoli, doveva parere molto più pericoloso che questi, senza il sussidio del Piemonte, si rinfrancasse. Certo, se Giuseppe Garibaldi fosse stato vinto, i Borboni avrebbero ripigliato forza; e questa forza sarebbe stata tutta spesa contro il Piemonte, che accagionavano dei pericoli che avevano corso, e contro cui tanto maggiore ira avrebbero avuto quanto più s'eran visti prossimi ad una estrema rovina per opera sua. Il conte Cavour, nel tempo stesso che respingeva accortamente l'alleanza napoletana, augurava un finale successo a Garibaldi; lo aiutava sottomano; e non impediva che da ogni porto dello Stato gli giungessero volontarî, ed in ogni città gli si raccogliesse danaro.
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