Quando a lui si faceva rimprovero dall'Inghilterra e dalla Francia, rispondeva: Come volete che ai popoli italiani io vieti di correre in aiuto a' loro concittadini e consaguinei, quando voi non potete vietarlo ai popoli vostri?
Garibaldi passò lo stretto di Messina il 21 agosto, e non ebbe che a combattere una sol volta a Reggio per giungere il 7 settembre in Napoli. Percorse quelle province tra gli applausi delle popolazioni attonite; ed entrò in Napoli solo con sette ufficiali, passando sotto i cannoni de' castelli custoditi da' soldati di Francesco Borbone, i quali, a vederlo, pareva dimenticassero essere egli il nemico d'un Re, che amavano, e gli presentavano l'armi. E che amassero il Re, lo provarono alcuni giorni dopo, quando, inviati a sgombrare i castelli, acconsentirono, ma a patto di essere lasciati raggiungere l'esercito, al quale appartenevano.
Questi eventi parvero portare lo stampo di un'azione, più che umana, divina. E lo portavano di fatto. Giuseppe Garibaldi appariva come un Dio che scendesse a sciogliere un nodo, le cui fila non eran tutte intrecciate da lui, e a precipitare una catastrofe che i fatti precedenti annunciavano inevitabile, ma che però, senza di lui, avrebbe tardato di molto, e sarebbe stata più intricata a produrre. E i fatti precedenti erano: il discredito e la sfiducia del governo borbonico; la diffidenza, parte naturale, e parte procurata, nell'esercito, tra gli ufficiali e i soldati; il sentimento unitario penetrato nelle menti e ne' cuori, e le preparazioni dei Comitati, che s'eran già viste cagionare un effetto lor proprio nella insurrezione di Basilicata, e avevan disciolto, colle dimissioni e colle diserzioni, l'esercito e la marina.
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