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      La giustizia del fine che gli brilla davanti, gli riscalda l'animo, e lo persuade, che a un fine, sentito giusto da lui e da tutti, ogni mezzo debba essere proporzionato, quando la pervicacia del volere, in chi ha a servirsene, non manchi. Nel suo cuore ogni querela di popolo trova eco; nessuna discolpa di governo trova adito. Ogni arte gli pare perfidia; ogni riposo viltà; ogni temperamento bassezza. Egli non intende che per arrivare a un punto ci sia altra via da quella che ci mena in diritta linea; il girarvi attorno è una abbietta stoltezza per lui. Quello che nell'uomo di Stato è un concetto politico, in lui è un istinto. Non ragiona il suo desiderio; lo sente. Questo carattere ha comune col popolo; e una comunanza così intima, appunto, gli fa esercitare sulla fantasia popolare un fascino così potente. Egli intende il popolo, come e quanto ne è inteso; perchè in lui il sentimento che agita quello resta tale, e non si tramuta o s'eleva in idea; acquista maggior efficacia e forza perchè si aduna nel foco del suo animo, ma non piglia forme, sotto le quali alle immaginazioni volgari non sia più facile o possibile di raffigurarlo e seguirlo. Perciò, egli a gran parte del popolo italiano - e sopratutto alla più ardente e fantastica - appare come una incarnazione dell'Italia risorta.
      Coteste qualità rendono il Garibaldi così adatto a suscitare uno spontaneo moto di popolo, come disadatto a reggerlo. Non trova nella moltitudine che lo spinge e con cui si confonde di volere e di sentimenti, quantunque tutta l'oltrepassi del capo, quel freno che non trova in sè. I suoi concetti diventano smisurati; e tra i mezzi preparati e gli effetti voluti, quando fosse lasciato a sè, non solo non cerca, ma sdegna ogni proporzione.


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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