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      Vittorio Emanuele, egli di certo, lo vuole perchè lo ama; la monarchia vuole anche, perchè sente che senza essa l'unità italiana andrebbe in dileguo; ma non vede, che, con la guida e con la compagnia, che talvolta accetta, si troverebbe avviato per un cammino in fin del quale nè Vittorio Emanuele, nè la monarchia sarebbero più possibili, ed egli avrebbe a spezzar la sua spada, affranto di dolore, e sciupata ogni sua speranza.
      Il Garibaldi, giunto così improvvisamente e con una facilità così maravigliosa in Napoli, non vedeva, egli e i suoi, confine a' suoi successi. Senza preoccuparsi se i Francesi in Roma gli avrebbero o no resistito, egli pensava che, sgominati quei resti di esercito borbonico, che sarebbero rimasti saldi attorno Capua, sinchè egli non ci fosse arrivato, avrebbe, senza pausa nessuna, marciato su Roma; e liberate le Marche e l'Umbria, e, col concorso dell'esercito italiano, ghermita all'Austria la Venezia, avrebbe in Roma coronato Vittorio Emanuele a Re d'Italia. Di cotesto magnifico dramma il protagonista sarebbe rimasto lui, perchè libero da ogni impegno diplomatico, e non legato a nessuna apparenza di vecchi diritti, non avrebbe avuto ritegno di sorta nell'ordirne e colorirne la tela. Ma perchè questo gli si fosse lasciato fare, bisognava che il Re si levasse d'intorno quegli i quali l'avrebbero consigliato a non tenersi pago alla parte che gli si sarebbe fatta recitare nell'intervallo, parte alla quale la sua natura schietta e guerriera già ripugnava tanto di per se stessa.


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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