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      Per ristorarla, non c'era che un modo: mostrarsi adatto a compiere i fini nazionali meglio di quello che Garibaldi non fosse. E cotesti fini non potevano oramai essere che uno solo; l'unitą Italiana. Se alla parte politica, che si raccoglieva intorno al Garibaldi e s'ammantava del suo nome - mettiamo che la sarebbe potuta riuscire, e non avrebbe, per contrario, rovinato in fine ogni cosa - si fosse lasciato compiere da sč sola la liberazione del napoletano, delle Marche e dell'Umbria, che autoritą sarebbe rimasta al governo di un Re, di cui alla risurrezione italiana non si sarebbe adoperato che il nome?
      Ma c'eran danni anche maggiori. La fortuna s'era sin allora mostrata cosģ costante amica al Dittatore che si sarebbe dovuto supporre in lui una prudenza meglio che umana, per contenersi dal proseguire ad usurparne con troppa violenza i favori. Avrebbe continuato il suo cammino su Roma. Ma a questo patto l'imperatore francese, se anche avesse voluto allontanare le sue schiere da Roma, non avrebbe pił potuto farlo senza vigliaccheria; e la Francia sarebbe dovuta diventarci risolutamente nemica.
      Le Potenze d'Europa, le meno benevole al Piemonte, non vedendo nč da chi, nč come il Garibaldi si potesse fermare, temevano che dall'indirizzo ch'egli seguiva, dovesse resultare ben pił che il proseguimento della rivoluzione italiana; le parti conservatrici in ogni Stato entravano in sospetto, che, innalzati e sollevati gli spiriti delle parti rivoluzionarie, ogni libertą ed ogni progresso s'avesse da capo come nel 1848, a soffocare e sopprimere nel sangue.


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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